Per chi come me è appassionato d’arte, gli oggetti non sono solo materia inerte, è ovvio.
Ogni manufatto artistico, a prescindere dal suo valore intrinseco e dal suo aspetto esteriore, ha infatti in sé un potenziale emotivo e un background di storie che lo collocano in un ambito che va ben oltre la sua fisicità.

Sigmund Freud con uno dei suoi chow chow.
Per questo, tra un oggetto e chi lo osserva si crea spesso un legame che può essere anche molto stretto.
Una relazione che diventa più intima e forte se la persona che la instaura ha a che fare con un oggetto di sua proprietà, potendo dunque elidere ogni filtro come, ad esempio, la vetrina di un museo. Toccare un manufatto artistico è infatti un’esperienza senz’altro rivelatrice.
Ognuno di noi instaura con un oggetto un rapporto particolare.
Succede con gli oggetti che hanno una specifica funzione, ad esempio la tazza da caffé preferita che usiamo tutte le mattine (per me è così), figuriamoci per quegli oggetti che non hanno uno specifico scopo ma che solo ci allietano la vista e il tatto, o sollecitano ricordi, memorie, stimoli intellettuali e così via.
Questo genere di meccanismo emozionale si innesca in tutti (o quasi) noi comuni mortali che abbiamo una qualche affinità con l’arte, la storia e le loro manifestazioni concrete, non importa quale sia il loro livello in termini di qualità, rarità e bellezza.

Piccolo paravento in giadeite e legno. Cina, XIX secolo. Londra, Freud Museum.
Possiamo essere d’accordo nell’affermare che Sigmud Freud (1856-1939) non sia stato un comune mortale?
Credo di si.
Pur non entrando nel merito delle sue teorie, si può essere sicuri che egli faccia parte di quella ristretta schiera di uomini che per il loro straordinario talento si sono elevati ben oltre la soglia di appiattimento del resto dell’umanità.
Un uomo come lui certo instaurò relazioni mentali piuttosto speciali con gli oggetti di cui amava circondarsi, soprattutto quelli antichi.
E’ infatti noto che Freud fosse un appassionato collezionista di reperti archeologici del mondo classico (egizi, greci e romani). Questa sua passione è stata indagata in più occasioni, con particolare attenzione all’empatia che il padre della psicoanalisi instaurava con quei manufatti.
Sulla sua ampia scrivania, dove amava redarre i suoi testi e alla quale sedeva per ascoltare i suoi pazienti, aveva disposto una parte di quella sua raccolta, probabilmente gli oggetti che più amava e che, in qualche modo, contribuivano a ispirargli quelle sofisticate riflessioni ormai patrimonio prezioso a disposizione di tutti noi.

Testa di guardiano di tomba in bronzo. Cina, dinastia Ming. Londra, Freud Museum.
Divinità egizie e bronzetti classici, pietre neolitiche e sculture zoomorfe. E inoltre, piccole figure in terracotta e qualche oggetto cinese.
Tra tutti, doveva per lui avere un significato più intenso un piccolo paravento in giada verde sostenuto da piedistallo in legno, intagliato con motivi floreali a incorniciare una stilizzazione del carattere shou, “longevità”.
Un manufatto, in realtà, di mediocre fattura, se messo a confronto con oggetti analoghi di superiore qualità.
Eppure, in quell’intrico di pietra e legno il Professore della Mente doveva trovarci qualcosa di più se, oltre a riservagli il posto d’onore sul desco d’elezione, lo scelse come uno dei due soli oggetti che volle salvare quando fu costretto a fuggire improvvisamente da Vienna per Londra all’indomani dell’occupazione nazista dell’Austria.
Temendo che i tedeschi avrebbero confiscato tutti i suoi beni (in realtà non andò così), lo psicanalista chiese alla sua cara amica Marie Bonaparte di mettere in borsa (letteralmente) una sculturina egizia e il piccolo paravento cinese, per l’appunto.

Spilla in giadeite e oro. Cina, inizio del XX secolo. Londra, Freud Museum.
Che cosa aveva di particolare quel manufatto per essere degno di quella assoluta priorità, considerando che l’interesse di Freud per la Cina era marginale rispetto ad altre sue passioni collezionistiche?
Craig Clunas, l’emerito esperto inglese di arte cinese e curatore della mostra Freud and China che si è tenuta presso il Freud Museum dal 12 febbraio al 26 giugno 2022, ha ipotizzato che quel gingillo simboleggiasse per l’esimio psicanalista l’ignoto.
In effetti, la passione di Freud per il mondo cinese e le sue manifestazioni artistiche iniziò solo nell’ultima parte della sua vita, con l’acquisto di alcune decine di oggetti, tra sculture funerarie in terracotta, bronzi e giade. Apparentemente, è vero, egli non accompagnò gli acquisti con un approfondimento di quelle culture così lontane attraverso letture specifiche sull’argomento, ad esempio.
Pur non conoscendone la simbologia, egli acquisì dunque quei pezzi perché ammaliato da quelle forme e convinto dalle informazioni che riceveva dai suoi fornitori in quell’ambito?
In pratica, Clunas suppone qualcosa del genere, e dunque immagina che Freud quando era alle prese con i suoi pensieri prestasse attenzione a quel piccolo paravento, con i suoi segni dal significato criptico, perché esso gli ricordasse costantemente il mistero di alcuni anfratti della mente, la complessità dell’inconscio, la grandiosità della mente umana e le difficoltà oggettive nel chiarire tutti i suoi meccanismi.

Piccolo paravento in legno con figura in giada (dettaglio). Cina, dinastia Qing. Londra, Freud Museum.
E’ un’ipotesi affascinante che, tuttavia, mi pare piuttosto modesta nella sua costruzione teorica. Stento infatti a credere che un gigante del pensiero umano come Freud potesse semplificare fino a questo punto il suo rapporto con quel manufatto. D’altronde, gli accenni tra le carte di Freud a quegli oggetti cinesi sono così pochi che non sarà facile capire le vere motivazioni di quella sua predilezione.
E’ non potrà certo rafforzare questa ipotesi la passione di Freud per i cani di razza cinese chow chow di cui amò circondarsi in vita.
Riguardo alla collezione nella sua interezza, lo studio degli oggetti da parte di specialisti ha messo in evidenza la presenza di numerosi falsi, in particolare tra le terracotte funerarie di epoca Tang. Già all’inizio del Novecento dunque circolavano riproduzioni di quei reperti archeologici, destinate a soddisfare le richieste del pubblico europeo che allora cominciava ad apprezzare quell’ambito della storia materiale della Cina.

Figura di straniero in terracotta. Cina, stile della dinastia Tang ma XX secolo. Londra, Freud Museum.
Resta da capire se Freud fosse consapevole di aver acquisito delle copie oppure, come è accaduto e continua ad accadere tuttora, sia stato semplicemente buggerato, ahilui…